Paolo l'inviato di Cristo Gesù
Paolo evangelizzò come inviato del Signore Gesù Cristo. L'evangelizzazione era un compito che gli era stato affidato specificatamente. «Cristo mi ha mandato... a evangelizzare» (1Co. 1:17).
Egli si vedeva come amministratore di Cristo. «Così ci stimi ognuno scriveva ai Corinzi, «come dei ministri di Cristo, e degli amministratori dei misteri di Dio» (1Co. 4:1). «Una dispensazione del Vangelo (cioè, commissione di dispensarlo: 'amministrazione', che m'è affidata» (1Co. 9:17). Paolo si riteneva uno schiavo in catene elevato ad una posizione di grande stima, nella quale veniva sempre a trovarsi un amministratore di famiglia, ai tempi del Nuovo Patto; egli era stato «approvato da Dio che gli aveva affidato l'Evangelo» (1Te. 2:4; 1Ti. 1:11 ss; Tt. 1:3) e ora aveva la responsabilità di essere fedele alla consegna, come dev'esserlo un bravo amministratore (1Co. 4:2), avendo custodia della preziosa verità che gli era stata affidata (della stessa cosa incaricherà Timoteo (1Ti. 6:20; 2Ti. 1:13), distribuendola e dispensandola secondo le istruzioni del Suo Maestro. Il fatto di aver ricevuto questo incarico, voleva dire, come scriveva ai Corinzi, che «necessità m'è imposta; e guai a me se non evangelizzo!» (1Co. 9:16; 2Co. 5:10ss; Ez. 3:16; 23:7). La figura dell'amministratore sottolinea pertanto la responsabilità che Paolo aveva di evangelizzare.
E ancora, l'apostolo si considerava l'araldo di Cristo. Quando parla di sé come «banditore costitutivo» del Vangelo (2Ti. 1:11; 1Ti. 2:7), il termine che adopera è Kéryx, che significa araldo, una persona che fa dei pubblici annunci per conto di un altro. Quando dichiara, «noi predichiamo Cristo crocifisso» (1Co. 1:23), il verbo usato è Kéryssò, che indica l'attività affidata all'araldo, cioè quella di divulgare dappertutto quanto gli è stato ordinato di far conoscere. Quando parla della «mia predicazione», della «nostra predicazione», e stabilisce che, non avendo il mondo conosciuto Dio con la propria sapienza, «è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione» (1Co. 2:4; 15:14; 1:21), il termine greco è Kérygma, che non indica l'atto di annunciare, ma la cosa annunciata, la proclamazione stessa, il Messaggio predicato. Paolo, nel valutare sé stesso, non si reputava filosofo o moralista, né uno dei sapienti di questo mondo, ma semplicemente l'araldo di Cristo. Il suo regale Maestro gli aveva dato un Messaggio da proclamare; perciò il suo solo compito era di consegnare questo Messaggio, con fedeltà sollecita e precisa, nulla aggiungendo, nulla alterando, nulla omettendo. Doveva diffonderlo, non come un'altra brillante idea dell'uomo che ha bisogno di essere abbellita coi cosmetici ed i tacchi alti della cultura alla moda per richiamare l'attenzione della gente, ma come una parola che viene da Dio, pronunciata nel nome di Cristo, che porta in sé l'autorità di Cristo, che è necessario sia autenticata in chi l'ascolta dalla potenza persuasiva dello Spirito di Cristo. «Quando venni a voi», Paolo ricorda ai Corinzi «venni... ad annunciarvi la testimonianza di Dio» (1Co.2:1). Paolo sta dicendo: venni, non per presentarvi le mie idee su un qualche argomento, ma soltanto a offrirvi il Messaggio di Dio. Perciò «mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo, e lui crocifisso» (1Co. 2:2) perché era proprio questo che Dio mi aveva mandato a dirvi. «E la mia parola e la mia predicazione (Kérigma) non sono consistite in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio» (1Co. 2:4,5). Quindi la figura dell'araldo mette in evidenza l'autenticità del Vangelo di Paolo.