Lettera ai Galati
La maggior parte degli studiosi asserisce che, la Lettera ai Galati scritta dall’apostolo Paolo (Ga. 1:15,16a), sia il primo scritto del Nuovo Patto.
È probabile che le Chiese destinatarie della Lettera erano quelle a Sud della Galazia, ovvero: Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derba. Quelle Chiese erano state evangelizzate dall’apostolo Paolo nel corso del primo viaggio missionario nel 48-51 circa. La data non è rilevante, in quando si tratta di una data che dista da noi più di XIX secoli.
Quello che interessa a noi è che, tali Chiese fondate da Paolo erano costituite principalmente da gentili che, nonostante un’entusiastica e felice accettazione del Messaggio predicato da Paolo (Ga. 5:7) stavano subendo l’influenza di falsi fratelli (Ga. 2:4,5) di origine giudaica che, in buona sostanza, affermavano che per poter sperare nella salvezza bisognava unirsi al popolo eletto e che, per essere cristiani, bisognava prima essere giudei (Ga. 3:2-3; 4:22; 5:2). In questo modo, la necessità della fede in Cristo non era negata, ma veniva affiancata dall’osservanza di pratiche giudaiche e da altre “opere”.
All'epoca della stesura della Lettera, sembra che queste Chiese non erano ancora giunte ad abbracciare la nuova versione del "vangelo", che non era quello predicato da Paolo ma, evidentemente erano assai inclini a accoglierla. La reazione dell'apostolo è molto appassionata, estremamente ferma nei toni e rigorosa nel metodo seguito per rifiutare le argomentazioni dei giudaizzanti e per distogliere i Galati dal cadere nell'eresia di un "falso vangelo”. In effetti, l’intera Lettera è un'accorata e lucida difesa del Vangelo mediante argomenti scritturali, logici e la rievocazione della storia ed esperienza precedenti degli stessi destinatari dello scritto apostolico.
Paolo inizia col difendere l’autenticità e la divina origine del proprio mandato e del Messaggio che aveva predicato loro (Ga. 1:2,10). Evitando di dilungarsi nei saluti e senza alcuna menzione delle sue preghiere per loro, si dirige immediatamente al centro della questione dichiarando il senso di meraviglia, frustrazione e dolore per la disponibilità che quei credenti stavano mostrando nell’accettare un "altro vangelo”, che in realtà non era che una perversione di quello autentico (1:6-7).
La Lettera trasuda della passione dell’apostolo (Ga. 1:6,8,9; 3:1-3; 4:19,20; 5:2,7,8; 6:11) e dei suoi timori a riguardo della condizione spirituale dei Galati (4:10; 5:4). Tuttavia, l’intensità dei sentimenti di Paolo non gli impedisce di difendere il Vangelo in modo lucido e razionale, presentando chiari argomenti a sostegno della sua autorità apostolica (1:11-2:21) e della coerenza del messaggio della salvezza mediante la sola fede in Cristo rispetto alla loro precedente esperienza personale (3:1-5), alla rivelazione divina precedente (3:6-14), a argomenti esegeticamente raffinati (3:15-29), facendo appello direttamente alle loro coscienze (4:1-20), spiegando un'allegoria dei due patti (4:21; 5:6) e mostrando i risultati del legalismo giudaico (5:7-12). In fine Paolo difende sé stesso e il suo messaggio da un’altra infamante accusa: quella che il Vangelo si contrapponga alla legge e produca il lassismo dei costumi, inclini all’immoralità e promuova un antinomismo pratico. Egli risponde a questa accusa nell’ultima parte della Lettera (5:13-6,10) affermando che chi ritiene che queste siano le necessarie conseguenze del Vangelo della sola grazia di Dio lo fa perché sconosce l'opera dello Spirito di Dio, che è stato dato ai credenti affinché camminino “secondo lo Spirito e non adempiano i desideri della carne” (5:16). La vita cristiana e feconda di buoni frutti (5:22) e la fede che unisce a Cristo è un principio distruttivo nei confronti delle passioni peccaminose (5:17).
La Lettera ai Galati è rimasta da sempre di straordinaria attualità nel corso dei secoli. Per certo giovò a liberare da un equivoco distruttivo le Chiese alle quali fu originariamente indirizzata, è stata tra le preferite dei riformatori del XVI secolo e continua a essere rilevante oggi che “nuove prospettive” sulla dottrina della giustificazione e dichiarazioni congiunte tra i discendenti della riforma luterana, altri evangelici e il cattolicesimo romano tendono a annullare la forza dell’argomentazione e valutano per lo meno "eccessive" le preoccupazioni di Paolo nei confronti di una rivisitazione del Vangelo in chiave legalistica o la negazione della sufficienza della sola fede in Cristo per la salvezza.
Tra coloro che si professano cristiani, ancora oggi Cristo è riconosciuto il Salvatore di tutti, ma alcuni hanno cominciato a accettare la possibilità di una fede “inconsapevole” e di una “salvezza in Cristo senza la conoscenza di Cristo”. Da altri la fede in Cristo è considerata necessaria, ma insufficiente se non accompagnata da qualcos’altro: un atto di volontà personale, la giustizia dell’individuo, la partecipazione al rito esteriore di un sacramento, una esperienza, ecc.; mentre la sola fede è ciò che basta a giustificare il peccatore (2:15,16) ed essa stessa è dono della grazia gratuita di Dio (Ga. 1:3,4,6,15; 2:19,21; 6:18).
Quindi, perché Paolo dichiara anatema qualunque altro vangelo diverso da quello annunciato da lui (1:8) che è il Vangelo del solo Cristo, e della sola grazia e della sola fede? E perché afferma enfaticamente che, per quanto gli riguardava, il suo unico vanto non sarebbe stato altro che “la croce di Cristo” (6:14)? Perché', da autentico apostolo, sapeva che gli uomini sono giustificati grazie all'imputazione della giustificazione di Cristo poiché "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: maledetto chiunque è appeso al legno), affinché la benedizione di Abraamo venisse sugli stranieri in Cristo Gesù, e ricevessimo, per mezzo della fede, lo Spirito promesso" (Ga. 3:13,14). Ecco, allo stesso tempo, l’indescrivibile grandezza (Ro. 11:33) e la pazzia (1 Co. 1:18) del Vangelo.
Noi esortiamo i nostri lettori di leggere, rileggere e studiare le Lettere dell’apostolo Paolo, perché in esse si trovano i capisaldi della fede in Cristo Gesù, affinché possiamo unirci a Paolo dichiarando: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Ga. 2:20).