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Storia della mitologia trinitaria

“Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv. 8:31,32)

Riportiamo il presene articolo, per far comprendere come gli uomini hanno corrotto il Vangelo di Dio e insegnato il proprio credo religioso, deciso dai cosiddetti “padri della chiesa” in sinergia con il potere politico imperiale del tempo.

La parola "Trinità" appare verso il 180 d.C. ad opera dell'apologista Teofilo di Antiochia. In seguito, la dottrina della Trinità venne progressivamente delineata dai cosiddetti "padri della chiesa" impevuti dalla filosofia Greca (fra gli altri da Atanasio, Basilio di Cesarea e Ilario di Poitiers) e dai concili tra il II e il IV secolo contro le numerose eresie, che agitavano l'impero romano d'Oriente con le proprie ideologie delle tre persone in un solo Dio, in particolare il monarchianismo e l'arianesimo. I partecipanti ai due concili di Nicea (325 d.C.) e di Costantinopoli (381 d.C.) stabilirono, secondo la propria ideologia, a prescindere dell'insegnamento apostolico, l'unica natura di Dio e le distinzioni delle tre persone, la loro uguaglianza e la loro consustanzialità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, differiscono nell'interpretare con il proprio pensiero ottenebrato, il dinamismo trinitario: per gli ortodossi lo Spirito Santo procede solamente dal Padre, mentre per la Chiesa cattolica procede dal Padre e dal Figlio (Vedi Filioque). Agostino, nel suo De trinitate, propose una spiegazione della Trinità procedendo da un modello psicologico: egli istituì un parallelismo tra le tre persone e le facoltà dell'anima umana.

Natura delle divinità romane

Nella sua monumentale Storia di Roma (1854-1856) l'insigne storico tedesco Theodor Mommsen analizza le origini e le caratteristiche della religione romana. Alla base di essa, secondo lo studioso, vi sono concetti di personificazione e astrazione, ma anche il bisogno di un ordine e di una classificazione ispirati alla divisione di persone e cose secondo le linee del diritto privato. Tra le più antiche divinità romane si annoverano quelle della semenza, del lavoro dei campi, del suolo, del confine: tra queste il più "speciale e proprio dei romani" è il Giano bifronte, il dio che veglia sulle porte e i passaggi.

"La sostanza della mitologia romana, come dell'ellenica, è l'astrazione e la personificazione; anche il nume degli Elleni è il riflesso di un fenomeno della natura, o la concretizzazione di un'idea; e anche al Romano come al Greco ogni nume appare sotto forma di persona, come prova il concetto che ogni deità è maschio o femmina, e l'invocazione al nume ignoto "Sei tu dio o dea, maschio o femmina?". Quindi la profonda convinzione che si debba gelosamente serbare segreto il nome del vero genio tutelare del comune, affinché non lo apprenda il nemico, e chiamando il dio con il suo nome, non l'attiri di là dai confini. Un residuo di questo potente concetto è particolarmente unito alla più antica e più nazionale delle divinità, cioè a Marte. La religione romana non ha, nelle sue scarse e aride creazioni, nulla che anche lontanamente possa contrapporsi al culto apollineo, trasfigurazione di ogni bellezza corporea e morale, né alla divina ebbrezza dionisiaca, né ai profondi ed arcani riti etonici, né al simbolismo dei misteri. Essa ha anche l'idea di un "dio cattivo" (Vediovis), della divinità della malaria, della febbre, dei morbi e forse anche del furto (laverna), e la coscienza di apparizioni di fantasmi (lemures), ma tutto ciò non vale a produrre quel sacro orrore del terribile e dell'ignoto, a cui tende l'anima umana, né a spingere il pensiero verso l'incomprensibile, o personificarlo con il male, che si trova nella natura e nell'uomo, e che è pure un aspetto che non deve mancare nella religione, se in essa deve interamente estrinsecarsi e manifestarsi tutto l'uomo."

Età ellenistica

Periodo compreso tra la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e l'affermazione della supremazia di Roma (battaglia di Azio, 31 a.C.), durante il quale la cultura greca divenne il comune denominatore dei popoli che abitavano il Mediterraneo e l'Asia Minore.

La religione dell'età ellenistica fu caratterizzata da forme di sincretismo, in cui convissero divinità greche e divinità di origine orientale e che si tradusse, ad esempio, nell'identificazione della dea egiziana Iside con la divinità ellenica Demetra. La Bibbia venne tradotta in greco ad Alessandria: fu così che il Nuovo Testamento si diffuse in tutta la koinè mediterranea.

Con il declino delle monarchie ellenistiche nel II e I secolo a. C., si assistette all'espansione di Roma verso la Grecia e il Medio Oriente. In tal modo la cultura ellenistica – che costituì una componente fondamentale della civiltà romana – continuò a permeare per secoli le forme della cultura del mondo occidentale Iside Nella mitologia egizia, dea della fertilità e della maternità. Gli egizi la credevano figlia del dio Keb ("Terra") e della dea Nut ("Cielo"), sorella e sposa di Osiride, giudice dei morti, e madre di Horus, dio del Cielo. Dopo la fine del Regno Nuovo nel IV secolo a.C., il centro del culto di Iside, al suo culmine, era Philae, un'isola sul Nilo in cui le venne dedicato un grande tempio costruito all'epoca della trentesima dinastia. Antichi racconti attribuivano a Iside poteri magici e spesso veniva rappresentata con sembianze umane e corna bovine. La sua personalità era ritenuta simile a quella di Athor, dea dell'amore e della gaiezza. Il culto di Iside si diffuse da Alessandria in tutto il mondo ellenistico dopo il IV secolo a. C.: in Grecia comparve associato al culto di Horus, suo figlio, e di Serapide, divinità che deriva forse da una fusione di Osiride e Api.

 Lo storico greco Erodoto identificò Iside con Demetra, la dea greca della Terra, dell'agricoltura e della fertilità. Il triplice culto di Iside, Horus e Serapide fu poi introdotto (II secolo a.C.) a Roma e divenne una delle più diffuse ramificazioni della religione romana. In seguito si procurò una cattiva fama a causa di alcuni rituali licenziosi, e ci furono consoli che cercarono di eliminare o limitare il culto di Iside: a Roma si estinse definitivamente dopo l'istituzionalizzazione del cristianesimo, mentre gli ultimi templi egizi di Iside furono chiusi a metà del VI secolo.

Serapide Nella mitologia greca ed egizia, dio associato a Osiride, Ermes o Ade, adottato nel culto intorno al III secolo a.C. Gli egizi lo consideravano un'incarnazione di Api, toro sacro che dopo la morte fu venerato come Osiride; nella mitologia greca, Serapide era rappresentato sia come un dio della fertilità e della medicina sia come il re dei morti nel Tartaro.

Apocrifi dell'Antico Testamento Libri considerati discutibili o inaccettabili sotto il profilo dottrinale dalla chiesa cattolica, che li esclude dal canone dei libri ispirati. Il termine "apocrifi" (dal greco apókryphos, "celato", "nascosto"), utilizzato dalla Chiesa antica, sembra tuttavia provenire dagli ambienti dello gnosticismo, in cui si tenevano nascoste le dottrine e le opere esoteriche ritenute troppo preziose per essere divulgate ai più. Poiché la Chiesa si oppose a tale atteggiamento, il termine tra i cristiani divenne poi sinonimo di falso. La collocazione di un testo tra gli apocrifi dipende dalla definizione del canone: l'ambiente del giudaismo alessandrino, che aveva prodotto la versione greca della Sacra Scrittura (detta dei Settanta), considerava sacri alcuni testi respinti invece dal giudaismo palestinese: Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide (Ecclesiastico), Baruc, i due libri dei Maccabei e alcune sezioni dei libri di Ester e Daniele (complessivamente però accettati). L'ebraismo rifiutò poi definitivamente tali scritti, accolti invece, insieme agli altri, dalle Chiese cristiane antiche.

 In seguito, anche i protestanti, conformi al canone ebraico, collocarono queste opere tra gli apocrifi. L'ebraismo produsse molte altre opere, appartenenti a un'epoca che si colloca tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C., di vario genere e provenienza, espressione di una letteratura non riconosciuta ufficialmente né dalla Sinagoga né dalla chiesa cattolica e che viene quindi definita apocrifa (i protestanti preferiscono definirla pseudoepigrafica). Ne sono esempi gli scritti di Qumran, il libro dei Giubilei, il libro di Enoc, il Testamento dei Dodici Patriarchi, i Salmi di Salomone, il terzo e il quarto libro di Esdra, gli Oracoli Sibillini ecc. I temi che compaiono sono espressione della varietà di idee e di interrogativi presenti nel giudaismo sia prima sia dopo la nascita del cristianesimo: l'immortalità dell'anima, l'origine del male, la natura del peccato, il destino dopo la morte, l'arrivo e il regno del Messia, la salvezza. Nel III e IV secolo, quando cominciò ad affermarsi la teologia cristiana, una trattazione teorica del problema del male divenne particolarmente urgente, poiché la dottrina del cristianesimo si fondava sull'esistenza di una divinità onnipotente e buona, ma contemporaneamente riconosceva la reale esistenza del male. Alla fine del IV secolo Agostino formulò la soluzione maggiormente accettata dai pensatori cristiani successivi. In un primo tempo egli aveva accolto la teologia dualistica del manicheismo; tuttavia, la successiva lettura di opere neoplatoniche e l'insegnamento di Ambrogio lo prepararono alla conversione al cristianesimo e alla conciliazione teologica della fede cristiana in un Dio buono, creatore dell'Universo, con la presenza del male nel mondo.