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Unicità di Gesù Cristo

Molte discussioni intorno all'importanza di Gesù Cristo nel contesto delle religioni mondiali lo recidono virtualmente dalle sue radici scritturali. 

Ora, se con questo si vuole dire semplicemente che da un punto di vista storico il cristianesimo è diventato una religione separata dal giudaesimo, l'affermazione può essere superficialmente vera. Ma di certo Gesù non aveva alcuna intenzione di lanciare un'altra 'religione' (vogliamo ricordare che il Vangelo non è religione; è la promessa di Dio per mezzo dei Suoi Profeti nelle sacre Scritture che, riguarda il Figlio Suo Gesù Cristo Signore nostro risuscitato dai morti) in quanto tale. Chi è Gesù e che cosa è venuto a fare erano prospettive già da lungo tempo anticipate attraverso gli interventi di Dio nei confronti di Israele e attraverso le scritture di questo popolo. È dalla Bibbia ebraica che coglieremo l'aspetto più profondo e ricco della conoscenza che Gesù aveva di sé, il suo senso di identità e la missione che lo motivava, perché da lì Egli stesso derivava queste prospettive. Senza l'Antica Alleanza, è sicuramente impossibile comprendere Gesù, perché queste scritture costituivano la base del modo in cui Gesù comprendeva sé stesso. È da lì che dobbiamo iniziare perché sia corretta anche la nostra concezione della Sua Unicità. Tra tutti gli aspetti che potrebbero emergere dalla ricchezza della Bibbia ebraica, desidero sottolinearne tre.

La natura del peccato e la salvezza

La Bibbia inizia allestendo lo scenario in cui si svolgerà l'intero dramma della storia umana - cioè la cornice della creazione di Dio, la terra e la razza umana, in cui ciascun elemento è strettamente collegato agli altri. La Bibbia va avanti per mostrare come tutte e tre le relazioni all'interno di questo quadro - tra Dio e l'umanità, Dio e la terra e la terra e l'umanità - sono state spezzate e distorte dal male. Il racconto della ribellione umana di Genesi 3 nella sua profonda semplicità e gli avvenimenti che seguono fino alla torre di Babele in Genesi 11, dipingono un mondo in cui tutto è andato male. Gli esseri umani si trovano alienati da Dio e cacciati dalla sua presenza. La terra viene soggetta alla maledizione divina e resiste al dominio e al controllo dell'umanità. A tutti i livelli, gli esseri umani si trovano in conflitto tra loro, dalla perversione e ingiustizia delle relazioni sessuali dopo la caduta, fino alla tensione familiare, l'arroganza sociale, la violenza e la corruzione. Il peccato fece il suo ingresso in ogni dimensione dell'esistenza umana, da quella spirituale e intellettuale a quella fisica e sociale. Tutta l'esistenza umana ne è rimasta colpita. Il risultato è quello di un mondo di individui e nazioni dispersi sotto la maledizione di Dio e divisi tra loro.

La Bibbia ebraica ci offre un quadro della condizione umana che è sia radicale sia esauriente nella sua valutazione. Ciò significa che se Dio ha una risposta, essa dovrà essere grande quanto il problema. In altre parole, sono il realismo e l'onestà della Bibbia ebraica, circa la natura del peccato e la realtà del giudizio a mostrarci che cosa deve essere la salvezza e il fatto che solo Dio la può realizzare. Se avessimo lo spazio di addentrarci nella piena descrizione veterotestamentaria del concetto della salvezza, troveremmo in effetti che essa è immensamente vasta e profonda, perfettamente in grado di affrontare tutti gli effetti del peccato nella creazione.

Questa salvezza è personale e sociale, spirituale e fisica, politica e economica, umana e ecologica, locale e cosmica, presente e futura. Dio, in qualità di Salvatore, soddisfa ogni dimensione del bisogno umano e certamente intende restaurare la sua creazione nella totalità. Perciò, quando interpelliamo la Bibbia perché si esprima sulla questione delle diverse affermazioni religiose, per prima cosa ci viene impedito di mettere in giro concetti facili e superficiali della salvezza poiché ci vengono mostrate la profondità e le dimensioni del bisogno e della colpevolezza umana, insieme alla severità del giudizio divino.

Trovo che sia un esercizio frustrante leggere le opere dei pluralisti religiosi, perché hanno la tendenza a essere molto vaghi e inadeguati quando si tratta di descrivere che cosa è in concreto la salvezza. E questo, a sua volta, mi sembra in gran parte dovuto al fatto che essi ignorano la luce che la Bibbia ebraica getta sulla natura e la serietà del peccato. Wilfred Cantwell Smith, per esempio, parla di un Dio che 'salva' attraverso tutte le religioni, facendo uso di espressioni come 'mettere in grado di vivere una vita veramente morale', 'vivere con un punto di riferimento che vada al di là della sfera semplicemente mondana e che dia colore agli obiettivi della persona', tenere a bada le forze della disperazione e del vuoto di significato'. È vero che la salvezza nel suo senso biblico potrà procurare queste cose, ma più come sottoprodotti, che come essenza della salvezza in sé. Altri studiosi mettono in discussione o in ridicolo l'idea di una rottura radicale nella relazione tra Dio e l'umanità (la 'caduta'). Una volta che si sorvola questo problema fondamentale o lo si sminuisce, la salvezza può essere qualsiasi cosa, a seconda delle preferenze personali o culturali per la soluzione degli altri bisogni umani.

Una delle migliori critiche a questa indeterminatezza proviene dalla penna di Carl Braaten. Vale la pena citarlo per esteso. 

I teologi cristiani stanno dibattendo la questione se si trova o meno la salvezza in altre religioni, e cominciano a prendere posizione, senza però prima definire con chiarezza qual è il modello di salvezza che essi hanno in mente. ... Qual è la salvezza che la maggior parte dei teologi si aspetta di trovare o non trovare in altre religioni? La maggior parte del dibattito fino a questo punto non ci ha portati da nessuna parte, perché per salvezza si intendono cose molto disparate tra loro. Se alla salvezza si attribuisce qualsiasi definizione, non c'è motivo per cui un cristiano dovrebbe negare la presenza della salvezza in altre religioni... 

Braaten va avanti con l'elencare una gamma vastissima di candidati all'etichetta 'salvezza', tra cui illuminazione, unione col divino, rivoluzione, eguaglianza, salute fisica, pace, giustizia, ecc. Egli dimostra che tutte le religioni e persino le filosofie non religiose del mondo hanno qualcosa da offrire come risposta a queste speranze e aspirazioni. E certamente anche l'insegnamento biblico sull'opera salvifica di Dio include tali dimensioni, ma esse non sono il nocciolo della questione. Infatti, la questione di fondo riguarda l'alienazione dal Dio vivente e datore di vita, che ha come conseguenza la morte. 

Sul piano teologico, la salvezza non è qualunque cosa la si voglia chiamare, la realizzazione di ogni bisogno e la compensazione di qualsiasi mancanza... Nella Bibbia la salvezza è la promessa che Dio fa al mondo, il cui orizzonte è segnato dall'attesa della morte personale e universale. Il Vangelo è la potenza di Dio che porta alla salvezza, perché promette di spezzare il circolo vizioso della morte ... Non possiamo trarre il significato ultimo della vita a partire da questa parte di morte. Potremo forse guadagnarci quel tanto di salvezza parziale che siamo disposti a pagare, ma nessuna di queste tecniche riuscirà a comprare il silenzio della morte. 

Nel Nuovo Patto, la salvezza è quel che Dio ha fatto alla morte nella risurrezione di Gesù. La salvezza è quel che succede a me e a te e al mondo intero nonostante la morte ... La storia della salvezza è il dramma della morte e risurrezione, qualunque possano essere gli altri problemi umani, personali e sociali di cui si faccia carico questa parola. ... Siccome è la morte quella che alla fine separa la persona da Dio, solo quella potenza che trascende la morte può liberare la persona per la vita eterna con Dio. Ecco il significato della salvezza nel senso biblico.

I teologi che parlano di salvezza nelle religioni non cristiane dovrebbero dirci se si tratta della stessa salvezza che Dio promise al mondo risuscitando Gesù Cristo dai morti. L'evangelo della risurrezione è il criterio del significato della salvezza in senso neotestamentario. Quando i cristiani si impegnano nel dialogo con persone di altre religioni, devono fare il loro meglio per comunicare che cosa intendono dire con l'affermazione che Gesù vive e spiegare in che modo questo Evangelo interseca le speranze e i timori di ogni persona il cui destino è quello di anticipare la morte come escaton finale ... Una cristologia che tace sulla risurrezione di Gesù dai morti non è degna di essere definita cristiana, né dovrebbe essere chiamata cristologia.

Bisogna far notare, nel caso in cui questi brani dessero un'impressione sbagliata, che è chiaro in base a tutto il contesto del discorso di Braaten, che egli non sta cercando di vendere a buon mercato una beatitudine celeste dopo la morte ('pie in the sky when you die' significa 'torta nel cielo quando muori', ndt), che sarebbe una caricatura del cristianesimo, cioè qualcosa che conta solo dopo la morte. Egli è pienamente d'accordo che la Bibbia ha parecchio da dire sull'esperienza presente e sulla realtà della salvezza in questa vita. Né vuole escludere la dimensione fisica, sociale e ambientale della salvezza, che rappresentano certamente parte della visione della piena salvezza nell'Antico Patto. Ma egli insiste giustamente che se non viene affrontata la fondamentale alienazione dell'umanità da Dio, che la Bibbia chiama morte e che attribuisce al peccato, tutti gli altri aspetti della salvezza rimarranno in ultima analisi puramente formali. E l'autore giustamente sottolinea che il nocciolo della questione è la risurrezione - la risurrezione storica di Gesù e la risurrezione alla vita promessa a coloro che credono in lui. La risurrezione è la risposta per eccellenza della Nuova Alleanza. Io aggiungerei soltanto che è l'Antica Alleanza a mettere propriamente a fuoco la questione.